LA CHIESA E I TESTI ORIGINALI









PADRE PERDONA LORO PERCHE'


NON SANNO QUELLO CHE FANNO (LUCA 23,34)


 

L’importanza di questo insegnamento, benché frequentemente citato ed usato con finalità catechetiche e pastorali, è stata recentemente ridimensionata dalla critica testuale. Questo versetto, infatti, manca in numerosi ed autorevoli manoscritti e, per molti, l’autenticità dello stesso è almeno dubbia.

I codici più autorevoli da cui “il perdono di Cristo” è assente sono:

·       il codice B vaticano del IV secolo;

·       il papiro P75 del II secolo

·       il codice D o Beza del V secolo;

·       la versione copta sahidica del IV secolo;

·       il codice “a” o Vercelliense della Vetus Latina (IV secolo)

·       il codice “d” della Vetus latina (IV secolo)

Tuttavia lo stesso versetto è presente nelle copie più antiche dei seguenti testimoni:

·       il codice Sinaitico del IV secolo;

·       il codice Alessandrino del V secolo;

·       il codice C di Saint Efrem del V secolo;

·       la Vulgata del IV secolo

·       la Vetus Syra del IV secolo

·       le versioni Armena, Etiopica e Georgiana del IV secolo

Venne poi citato come autentico da numerosi padri della Chiesa, come:

·       Ireneo, Contro le Eresie, III;

·       Origene, De Pasha, II e Omelia sul Levitico II

·       Ambrogio, Commentario su Giobbe, II e V;

·       Ippolito, Contro i Giudei, V;

·       Crisostomo, Omelia su Matteo;

·       Gerolamo, A Hedibia, Epistola 120;

·       Clemente Alessandrino, Stromata, I;

·       Costituzione Apostolica, II e V

E’ pertanto possibile che questo versetto sia stato rimosso da alcuni codici antichi perché la preghiera di Cristo sembrerebbe non essere stata accolta dal Padre, visto che Gerusalemme cadde sotto l’imperatore Tito nel 70 d.C. ed il tempio venne totalmente distrutto.

La difficoltà fu risolta da Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesistica, II) che spiegò come la richiesta di perdono di Cristo fu realmente ascoltata sia per i giudei che per i soldati romani, incapaci di riconoscere nella sua umanità la missione divina.

Sarebbe stata, invece, l’uccisione di Giacomo il Giusto, fratello del Signore e primo Vescovo di Gerusalemme, a rendere il popolo ebreo indegno di ulteriore misericordia. Giuseppe Flavio racconta che egli fu condannato a morte dal Sinedrio per ordine del Sommo Sacerdote Anania e lapidato (Antichità Giudaiche, XX). Il racconto della morte di Giacomo è altresì presente in un’opera di Egesippo, opera ormai introvabile, ma citata da Eusebio di Cesarea secondo la quale Giacomo fu lanciato dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e, miracolosamente sopravvissuto, venne ferocemente massacrato a colpi di mazza (Storia Ecclesistica, II)

L’importanza di questo insegnamento, benché frequentemente citato ed usato con finalità catechetiche e pastorali, è stata recentemente ridimensionata dalla critica testuale. Questo versetto, infatti, manca in numerosi ed autorevoli manoscritti e, per molti, l’autenticità dello stesso è almeno dubbia.

I codici più autorevoli da cui “il perdono di Cristo” è assente sono:

·       il codice B vaticano del IV secolo;

·       il papiro P75 del II secolo

·       il codice D o Beza del V secolo;

·       la versione copta sahidica del IV secolo;

·       il codice “a” o Vercelliense della Vetus Latina (IV secolo)

·       il codice “d” della Vetus latina (IV secolo)

Tuttavia lo stesso versetto è presente nelle copie più antiche dei seguenti testimoni:

·       il codice Sinaitico del IV secolo;

·       il codice Alessandrino del V secolo;

·       il codice C di Saint Efrem del V secolo;

·       la Vulgata del IV secolo

·       la Vetus Syra del IV secolo

·       le versioni Armena, Etiopica e Georgiana del IV secolo

Venne poi citato come autentico da numerosi padri della Chiesa, come:

·       Ireneo, Contro le Eresie, III;

·       Origene, De Pasha, II e Omelia sul Levitico II

·       Ambrogio, Commentario su Giobbe, II e V;

·       Ippolito, Contro i Giudei, V;

·       Crisostomo, Omelia su Matteo;

·       Gerolamo, A Hedibia, Epistola 120;

·       Clemente Alessandrino, Stromata, I;

·       Costituzione Apostolica, II e V

E’ pertanto possibile che questo versetto sia stato rimosso da alcuni codici antichi perché la preghiera di Cristo sembrerebbe non essere stata accolta dal Padre, visto che Gerusalemme cadde sotto l’imperatore Tito nel 70 d.C. ed il tempio venne totalmente distrutto.

La difficoltà fu risolta da Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesistica, II) che spiegò come la richiesta di perdono di Cristo fu realmente ascoltata sia per i giudei che per i soldati romani, incapaci di riconoscere nella sua umanità la missione divina.

Sarebbe stata, invece, l’uccisione di Giacomo il Giusto, fratello del Signore e primo Vescovo di Gerusalemme, a rendere il popolo ebreo indegno di ulteriore misericordia. Giuseppe Flavio racconta che egli fu condannato a morte dal Sinedrio per ordine del Sommo Sacerdote Anania e lapidato (Antichità Giudaiche, XX). Il racconto della morte di Giacomo è altresì presente in un’opera di Egesippo, opera ormai introvabile, ma citata da Eusebio di Cesarea secondo la quale Giacomo fu lanciato dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e, miracolosamente sopravvissuto, venne ferocemente massacrato a colpi di mazza (Storia Ecclesistica, II)